Certo, 2000 Euro per un cavo sono davvero tanti. Qui abbiamo, alla sbarra, uno dei re della scena dei cavi made in Italy, il White Gold Pi Greco Sublimis, 1950 Euro per la coppia da un metro, uno dei classici made in Usa, il Monster Sigma Retro Gold, circa 1800 Euro per la coppia da un metro, una versione non aggiornatissima del Wire World Gold Eclipse, un ibrido fra la 3 precedente e la 5 corrente, il prezzo della quale è intorno ai 1800 Euro per la coppia da un metro. Si è aggiunto, inviato dal distributore italiano insieme al BAT VK75SE di cui vi parlo altrove in questo numero, lo Shunyata Aries, che, a 800 Euro per la coppia da un metro, costituisce sia l’outsider della prova, sia un necessario “ritorno alla terra”, non perché sia, in senso assoluto, un cavo economico (settecento Euro per un pezzo di cavo e quattro connettori non è precisamente realistico, in senso assoluto)…
C’è da dire, in qualità di premessa generale, che provare cavi è un compito abbastanza ingrato. Le differenze non sono, di per sé, particolarmente evidenti, soprattutto a questi livelli, ma (e soprattutto), più che in ogni altro caso vale il discorso sul rischio che il recensore recensisca se stesso e il proprio sistema. Se da un lato è comunemente, ormai, accettato che fra diversi cavi ci sia differenza, dall’altro lato non esistono sufficienti spiegazioni tecniche sul motivo per cui ci siano delle differenze, in particolare a livello di segnale (e forse ancor di più a livello digitale o di alimentazione, ma questo è un altro problema…), né sulla possibilità che i risultati ottenuti con un impianto, in una stanza e con una coppia di orecchie siano ripetibili altrove.
A proposito dell’impianto, quello di riferimento per le prove era composto dalla sorgente Sony SCD-777ES (con cavi di alimentazione Neutral Cable, Eupen, ART, Electrocompaniet e con l’uso praticamente obbligatorio del SID), dai preamplificatori di linea Sonic Frontiers SFL-2 e Tom Evans Audio Design The Vibe, dagli amplificatori finali BAT VK75SE e GamuT D200 Mk.3, dai diffusori B&W Silver Signature e Wilson Audio WITT. La posizione in cui i cavi in prova sono stati testati è, perlopiù, quella fra il lettore SACD e il preamplificatore. L’altro cavo di segnale era un Monster, Sigma Retro Gold o Sigma 2000; i cavi di potenza erano quelli standard delle B&W Silver Signature o i Van Den Hul Revelation Hybrid, a volte la piattina DNM.
La stanza è il mio solito volume di circa 70 mc, leggermente riflettente.
Descrizione dei cavi in esame
Cominciamo dal più semplice, il Monster Sigma Retro Gold. Si tratta di una evoluzione/rivoluzione rispetto al precedente Sigma 2000; il progetto di questo cavo è di Damien Martin, uno dei progettisti più noti e versatili della scena hi-fi americana. Il “Retro” nel nome indica una propensione, nel progetto di questi cavi, alla moda, retro, dei triodi single ended e dell’alta efficienza; tuttavia, tale propensione è espressa più nel cavo di potenza che in quello di segnale qui in esame. Si tratta di un cavo coassiale schermato, non flessibilissimo, non particolarmente spesso, finito con una guaina nera a rete, isolato in microfibra, terminato con i consueti RCA Monster della serie top (quelli con la massa dell’RCA elicoidale) e con, unico segno esterno, una freccia ad indicare la direzione del segnale.
White Gold, superati nel catalogo del costruttore italiano durante il periodi di prova dall’ancora più costosa serie Infinito, sono cavi in Litz (cioè composti da conduttori isolati uno per uno) di rame ad alta purezza, molto flessibili, con un piccolo box in legno verso il lato dell’apparecchio “ricevente” ad indicare la direzionalità del cavo, finiti con una guaina nero/dorata, facilissimi da usare e da installare anche grazie alle ottime terminazioni Neutrik professionali (quelle con la massa a molla).
I Wire World sono cavi in argento, gli unici della prova, coassiali, con una guaina trasparente, terminati con particolari RCA brevettati dall’azienda di David Salz, ex progettista della Straight Wire degli anni d’oro. Erano l’unica delle coppie di cavi in prova non nella lunghezza canonica di 3 piedi/un metro, dato che me li sono procurati nella lunghezza di 150 cm.
Gli Shunyata Aries, i più recenti della batteria come progetto, fanno parte della prima serie di cavi di segnale, denominata Constellation, dell’azienda di Caelin Gabriel, nota precedentemente negli USA – l’importazione nel nostro paese è abbastanza recente – soprattutto per i suoi eccezionali, e sicuramente non economici, cavi di alimentazione e filtri/condizionatori di rete. Si tratta di cavi dalla geometria brevettata, composta da una doppia elica in controrotazione, configurata in modo che i cavi siano lontani fra loro e che, quando si incontrano, lo facciano ad un angolo prossimo ai 90°. Il dielettrico è praticamente eliminato, nella costruzione di questi cavi. La guaina è trasparente, di derivazione medicale. I connettori sono Neutrik. Il cavo è piuttosto flessibile e ha un aspetto decisamente originale.
Il suono
Cominciamo subito a dire che nessuno di questi cavi comprometterà la prestazione musicale del vostro amato impianto. Si tratta, in tutt’e quattro i casi, di cavi decisamente seri, impostati in modo tale da essere neutri ed equilibrati. Non hanno ovvie deficienze, né ovvi punti di forza (la presenza di punti di forza ovvi, spesso, si traduce in un’evidenziazione di particolari caratteristiche, lasciandone indietro altre, il che finisce per apparire una colorazione, almeno in senso sottrattivo). Hanno, tuttavia, delle impostazioni leggermente diverse che, nel contesto di un specifico impianto, possono far preferire la prestazione di uno fra essi a quella degli altri; non parlerò più di tanto, nelle impressioni di ascolto, di bassi/medi/acuti, dato che c’è molto poco da dire, in quel senso: i quattro cavi sono estremamente lineari, estesi, corretti, non esaltati, non equalizzanti. Se cercate un cavo che corregga un basso esuberante, che equalizzi delle sibilanti un po’ fuori posto, che esalti il calore, che addolcisca, guardate altrove.
Anche il più economico (si fa sempre per dire) fra i quattro ha pienamente senso all’interno di un impianto di altissimo livello. La differenza fondamentale fra l’Aries e gli altri, più costosi, cavi del gruppo è quella di una minore integrazione del dettaglio, di una minore naturalezza nella riproposizione dello stesso come facente parte dello stesso evento rispetto alla musica riprodotta, cosa che, tuttavia, potrebbe essere inserita in maniera coerente nella sua impostazione. Cominciamo proprio a parlare dell’impostazione di questo cavo: è quello che fa suonare, apparentemente, l’impianto più forte. Il livello di dettaglio riproposto è tranquillamente paragonabile a quello degli altri cavi, molto più costosi. Deve cedere le armi, come dicevo sopra, a livello di fluidità e di integrazione del dettaglio, ma è estremamente trasparente, velocissimo, sa riprodurre una scena acustica di grande profondità e di corretta altezza (anche se cede le armi agli altri nel senso della larghezza della scena). Il livello di focalizzazione e delineazione delle entità sul palcoscenico sonoro è eccellente, come di assoluto livello è la coerenza ritmica e dinamica di questo cavo. Nel contesto del mio impianto, un’altra lieve caratterizzazione di questo cavo è la tendenza, lievissima, non tale da poter parlare di una colorazione o di una caratterizzazione, a omogeneizzare le timbriche degli strumenti acustici nel senso di una “ottonizzazione”, una caratteristica di maggiore brillantezza, che fa comunque parte di una performance spinta nel senso dell’entusiasmo, della dinamica, del dettaglio, della precisione ritmica. E’ un cavo che vedrei bene in impianti che vogliano massimizzare le caratteristiche di “vitalità” del messaggio sonoro.
Il Monster sfodera una performance di estremo equilibrio, tanto che è difficile parlarne. E’ un cavo correttissimo, preciso, armonicamente consistente, veloce (un po’ meno dello Shunyata; però, rispetto a quello, integra meglio il dettaglio), non semplificante. Non aggiunge calore né addolcisce, al contrario della precedente serie top di Monster, tanto che, a chi è abituato a quella, può, a tutta prima, persino sembrare acido; rispetto a quella serie ha anche eliminato il lieve senso di ingrossamento degli strumenti, condizionato, nei vecchi Sigma 2000, da una esaltazione un po’ “technicolor” del mediobasso). Rispetto agli altri due cavi top cede le armi per quanto riguarda la profondità della scena acustica, forse appena limitata. Tuttavia, preso da solo, senza raffronti, è un cavo di assoluta soddisfazione, che può trovare il suo posto in impianti cost-no-object senza alcun senso di deprivazione.
Il Wire World è l’unico cavo con conduttori in argento della prova. Non vi nascondo la tentazione di ascrivere a questo alcune delle sue caratteristiche, in particolare la tendenza ad una certa maggiore secchezza, ad uno smorzamento maggiore, alla restituzione di ambienze più grandi rispetto ai cavi in esame. Diciamo che è il cavo che indicherei, senza esitazioni, a chi volesse massimizzare del proprio impianto le caratteristiche di trasparenza e di apertura; è quello, fra i cavi in esame, che sembra più subliminalmente sparire, togliersi di mezzo, accorciare il percorso del segnale; è anche quello che restituisce la scena acustica più luminosa, aperta, sviluppata in tutte le dimensioni. Ciò viene ottenuto a patto di una maggiore criticità, di una possibilità che faccia suonare l’impianto più acido rispetto a quanto possono fare cavi più rilassati. Però, nel contesto del mio sistema (che non suona particolarmente dolce), ciò non succede mai. Il cavo ha, in definitiva, un equilibrio assolutamente invidiabile fra bilanciamento tonale, integrazione, focalizzazione, ambienza. E’ quello, fra i cavi in esame, che lascia distinguere meglio i suoni diretti da quelli riflessi in una registrazione naturale.
Il White Gold mi è sembrato un po’ critico negli accoppiamenti; ce l’ho in casa, grazie alla pazienza del distributore, da un po’ di tempo e ho provato parecchi accoppiamenti, rischiando persino, all’inizio del periodo di prova e a causa di un’interazione particolarmente disgraziata (e di un periodo di rodaggio/adattamento piuttosto lungo, che oltretutto, in parte, si ripresenta se lo si lascia fuori dall’impianto per periodi prolungati), di giudicarlo duro e legnoso. Non lo è per nulla. E’ anzi, correttamente interfacciato e lasciato “appeso” per un po’, probabilmente il cavo più corretto armonicamente che io abbia mai sentito. Tutto il resto è, nei suoi confronti, più o meno semplificante le armoniche e i timbri caratteristici degli strumenti. E’ entusiasmante anche la sua capacità di riproporre un dettaglio perfettamente sensato, educatissimo, di fluidificare l’evento riprodotto. La scena acustica riproposta è lievemente inferiore, in senso dimensionale, a quella del campione Wire World, così come può rischiare, rispetto a questo, di apparire lievemente meno dinamico o lievemente meno “diretto”; ma è facile rendersi conto della naturalezza e del’integrazione completa della performance di questo piccolo capolavoro – quando, lo ripeto, correttamente interfacciato.
Una classifica?
No, grazie. Credo che ci sia solo la possibilità di dire che, a livello di raffinatezza complessiva, i tre cavi da duemila euro sono superiori a quello da settecento, ma che, d’altro canto, quello da settecento e’ un cavo di assoluta eccellenza, i cui tratti migliorabili spendendo molto di più sono evidenziabili praticamente solo con un confronto diretto.
Un continuum di caratteristiche dal più “integrante” al più “aperto/dinamico” potrebbe andare dal White Gold al Wire World, passando, nell’ordine, per il Monster e per lo Shunyata. Nel contesto del mio impianto, nella posizione in cui ho utilizzato i cavi (quella, lo ricordo, fra sorgente e preamplificatore), sceglierei, probabilmente, il White Gold, ma mi mancherebbero, a volte, la pulizia e la scena da primato del Wire World (la propensione al White Gold è dovuta alla convinzione che esprimo nella prova dell’amplificatore BAT, cioè che, in assoluto, maggiore complessità armonica corrisponda ad un suono migliore) e, a volte, l’equilibrio estremo del Monster. Tuttavia, non potendomi permettere nessuno dei tre, credo che potrei acquistare lo Shunyata e vivere felice.
Il che ci riporta ad un dilemma, quello sul prezzo. Ho smesso da tempo di chiedermi se, in assoluto, abbia senso spendere duemila euro per un pezzo di cavo e quattro connettori, diecimila euro per un amplificatore, ventimila per una coppia di diffusori. Penso che la risposta sia assolutamente soggettiva, che sia necessario che ciascuno decida per sé. Posso solo aggiungere che l’idea di ascoltare il mio impianto integralmente cablato con uno di questi cavi di livello assoluto mi induce in tentazione, una tentazione alla quale, per me, è difficile, assai difficile resistere.
Bonus: slippery path
Extreme Audio (il distributore dei cavi White Gold), insieme al cavo di segnale, mi ha inviato anche un altro pezzo di cavo vergognosamente costoso, il digitale della serie Sublimis. Ora, ho avuto modo, in passato, di apprezzare la differenza fra diversi cavi digitali, ma alla fine mi sono attestato su quello più sensato che ho trovato, l’economico Apogee Digital. E’ un cavo di provenienza professionale, ben schermato contro le interferenze elettromagnetiche e in radiofrequenza, sia quelle ricevute, sia quelle irradiate, ad impedenza controllata, terminato con RCA a 75 ohm della HAVE/Canare. Ha quindi tutte le caratteristiche per essere ritenuto un cavo digitale fatto bene, non inutilmente esoterico, senza “polverine magiche” o materiali esotici.
E’ stato quindi con una certa curiosità che ho sostituito l’Apogee con il White Gold, che è, invece, spudoratamente “esoterico”, a partire dal costo di 1350 Euro (contro i circa 80 dell’Apogee), per proseguire con la terminazione con i Neutik Profi che sono molto belli e molto pratici, ma che non mi pare siano realmente a 75 ohm. Il convertitore “cavia” era il North Star, che ho recensito sul nostro numero 9. Il resto dell’impianto è quello descritto sopra, col Sony a fare da meccanica e un Monster Sigma Retro Gold tra il DAC e il preamplificatore.
Beh, l’impatto è stato paragonabile a quello di una pietra che cada in testa, inaspettata. Mi potrei spingere a dire che il convertitore non sembrava nemmeno la stessa macchina. Consistenza armonica, integrazione del dettaglio, raffinatezza sono caratteristiche di casa, per White Gold. Quello che non mi aspettavo e che è arrivato è stato il palese miglioramento anche in quelle caratteristiche attribuibili alla presenza più o meno rilevante di jitter (il cavo Apogee sembrerebbe meglio piazzato, in quel senso), cioè precisione, focalizzazione, delineazione del basso, pulizia dell’acuto. Un vero salto quantistico, la prestazione del convertitore che passa da buona ad eccellente, un cavo che passa da accessorio a componente. Non vi so dire se, con un cavo digitale meno costoso, ci si possa avvicinare alla prestazione del White Gold (che, in fondo, costa più del convertitore con cui l’ho utilizzato), dato che da un po’ non mi capita di utilizzare convertitori esterni e cavi digitali di pregio nel mio sistema; ciò che vi posso dire è che, probabilmente anche grazie alla trasparenza del campioncino North Star, in questo caso un cavo di questo livello mi pare persino giustificabile dal punto di vista economico. Inutile dire che la mia prova del North Star, sul numero scorso, si è svolta con il cavo White Gold come connessione digitale.